ESPOSIZIONE 3 – Pablo Larraìn

Pablo Larraìn

la ESPOSIZIONE 3 è dedicata al regista Pablo Larraìn; è suddivisa in quattro piccoli paragrafi e comprensiva di cinque schede recensioni dei film con i rispettivi link.

a. Pablo Larraìn e la coscienza distrutta del Cile
Tony Manero (2008), Post Mortem (2010)

b. Pablo Larraìn e l’arcobaleno contro Pinochet
NO – i giorni dell’arcobaleno (2012)

c.
Pablo Larraìn e la Chiesa e il Cile, un gioco al massacro

Il Club (2015)

d. 
Pablo Larraìn e Neruda
Neruda (2016)

Pablo Larraìn...

è figlio dell’ex presidente dell’Unione Democratica Indipendente Hernán Larraín e del ministro Magdalena Matte. Dopo aver studiato all’Universidad de Artes Cencias y Comunicacion (UNIACC) di Santiago.del Cile, fonda “Fabula”, una società di produzione dedicata a cinema, televisione e service di pubblicità.
Dopo la prima opera, La Fuga, storia di un musicista che cercando la perfezione impazzisce, si concentra sull’attacco al regime di Pinochet.
Con i vari film dedicati al regime, Larraìn si pone in modi diversi per toccare con mano una materia e sentire dove brucia di più.

a. Pablo Larraìn e la coscienza distrutta del Cile  

Tony Manero (2008)

Post Mortem (2010)

In Tony Manero c’è l’illusione di poter vivere facendo cose normali, un’illusione che è sempre più debole di fiamma, che si sostituisce per poco alla coscienza del protagonista, per poi sparire del tutto – l’unica normalità è rappresentata dal desiderio di diventare come un’icona, un’ombra ripresa da una telecamera, qualcosa che è sempre in anticipo sulla realtà.
Illusione di un’illusione.
Da notare il forte attacco di Pablo Larraìn anche all’America nel Nord che pare proporre da sempre stereotipi validi solo a rendere la gente più povera e secca d’animo.
La violenza è mostrata ma a dosi sufficienti affinchè la narrazione non venga bloccata improvvisamente.
La violenza fa parte della lezione di Larraìn tanto quanto quella dell’illusione.
In particolar modo, Post Mortem (2010) è l’opera dove il regista si incunea maggiormente, scava in profondità sull’evento del golpe di settembre del 1973 da parte di Augusto Pinochet.
La luce si fa più grigia e vitrea, i camici bianchi d’ospedale in contrasto con i maglioni marrone scuro a V, le cravatte perfette e i pantaloni di velluto.
La storia narrata non è nient’altro che una banalissima storia d’amore tra il funzionario dattilografo d’ospedale Mario e Nancy, una ballerina anonima.
La cosa che accende subito l’attenzione non è tanto come sia narrata la vicenda quanto cosa sia narrato.
Pablo Larraìn mette in parallelo i piccoli, deludenti e frivoli baci con i corpi dei morti ammazzati che arrivano in clinica, sempre di più, sempre più dissidenti. Ecco dove sta la violenza. Sta, certo, nei cadaveri ammassati sulle scale – che il regista ci fa vedere – ma soprattutto, sta che il protagonista Mario accetti questa violenza con un sorrisetto beffardo, appena accennato.
Il protagonista oramai si “ritrova” senza coscienza. Quella qualità della mente che permette di essere autoconsapevoli e interagire con il mondo circostante viene definitivamente meno.
A seguire, l’identità esplode e l’io – che non è una cosa bensì il percorso dell’esistenza di ogni uomo – oscilla senza avere più un nome.
Sembra contare solo essere Tony Manero e avere le lacrime agli occhi dopo l’infinitesima volta che Raùl Peralta va al cinema a vedere il film La febbre del sabato sera.
Dietro le “gesta” di gomma dei suoi protagonisti, il paese Cile appare abbandonato, forse divorato da se stesso. Prende vita alle scorribande dell’esercito, al suono dei manganelli e degli idranti.
Luoghi e caratteristi, Larraìn mostra tutto lo squallore possibile.

NO–i giorni dell’arcobaleno (2012)

NO – i giorni dell’arcobaleno è l’opera che narra come la semplicità e l’allegria abbiano messo in ginocchio un dittatore come Pinochet. Durante il referendum (Plebiscito cileno del 1988) per decidere se confermare Pinochet per altri otto anni o far cadere il suo governo, un giovane pubblicitario per il cartello del NO fa leva sul medio benestare dei cileni (in realtà della classe borghese cilena) per riportare alla luce sempre di più gli aspetti negativi dei fascismo governativo, come le torture, le sparizioni, i morti.
Nell’arcobaleno, un insieme di colori, la coscienza pare risvegliarsi e lo spirito ottimista del tempo è reso quasi alla perfezione.

c. Pablo Larraìn e la Chiesa e il Cile, un gioco al massacro

il Club (2015)

Il Club è un film estremo, un film che non permette a nessuno di nascondersi, un attacco alla Chiesa sottile ma affilatissimo.
Un film disturbante nel quale non vengono risparmiate le parole, girato in modo che tra regista e caratteristi ci sia sempre una precisa zona di demarcazione.
Larraìn riprende in modo quasi totalmente distaccato.

d. Pablo Larraìn e Neruda

Il film Neruda è un gioiello preziosissimo, un road movie che muta in surrealismo nel finale, una fotografia meravigliosa e spettacolare per decantare il grande poeta cileno, contradditorio e sognatore allo stesso tempo, esattamente come tutto il paese cileno guidato dalle forze fasciste.