Voto 9 Halley, un horror atipico. Un body-horror, d’autore tenace. Un racconto autentico esistenziale, granitico. Beto è un guardiano notturno di una palestra. Trascina il suo corpo dentro una routine afona, lucido e consapevole del suo deperimento. Luly, la proprietaria della palestra, prova a creargli un brevissimo episodio di divertimento e spensieratezza. Dopo un soggiorno di Beto all’obitorio. Sebastian Hoffmann propone un lancinante racconto sulla solitudine e la malattia. Dentro una luce grigia, di cenere, a volte abbagliante. Fa muovere il personaggio di Beto in un segmento sottile e fuligginoso, quello del non-vivo, andando “oltre” al non-morto di Romero. Uno zombi, quindi? Sicuramente sì. Ma anche oltre lo zombi. L’ossigeno…
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Vivarium (2019), di Lorcan Finnegan
Voto 7 Per chi riflette sull’esistenza nella sua costruzione definitiva tramite categorie strutturali come l’angoscia, allora Vivarium non è adatto. O adattissimo. La sua provenienza è quella di quel Peter Weir in forma smagliante e il suo The Truman show. Solo che The Truman show è un sogno con tinte finissime di incubo. Vivarium è un incubo crudele, forse, semplicissimo e sogno disturbante. La semplicità, come i Beatles insegnano, è sempre da seguire e alle volte si trasforma in genialità. Vivarium rende la semplicità della vita un mostro. Non si vede, non si sente, non ha odori come il cibo che mangiano Gemma e Tom. Camus sentiva l’assurdità della vita…