"Hungry Hearts" e la geometria di un male che pre-esiste
In Hungry hearts, Saverio Costanzo dichiara la coppia Jude e Mina destinata a una tragedia sempre più a fuoco, sempre più vicina, non rompendone tuttavia i legami e l’essenza compattata d’amore reciproco.
Nella circonferenza di vita che si viene a creare, il centro di essa è la disfatta di un destino familiare.
Il nucleo, invece, della circonferenza di vita, del mondo di Jude e Mina è rappresentato dal loro figlio e la sua educazione e crescita.
Questo piccolo perno sostiene la trama del film.
Infatti, il piccolo tarda a crescere perchè la madre lo nutre solamente di verdure da lei coltivate – sul tetto dell’appartamento – per mantenerne l’integrità fisica e psicologica.
Mina è terrorizzata dall’inquinamento che investe le strade del mondo, per questo e da questo suo figlio deve essere protetto.
Intanto, Jude vuole il bene del bambino con una crescita e nutrizione normale che lo costringe ad agire anche all’insaputa di Mina.
La ritardata crescita del figlio porta i genitori a una battaglia sotterranea in cui le ragioni di entrambi si confondono.
La circonferenza di vita di Hungry hearts ruota su se stessa a imitazione del mondo.
All’interno, due raggi – Jude e Mina – che incontrano costantemente il centro del cerchio, un male che si insinua e si innesca.
Per Costanzo, il male all’interno della coppia è una “essenza” che già esiste.
Pre-esiste a Jude e Mina e al loro bambino.
Il male vaga senza mete, trasportato dall’aria inquinata e pericolosa di una New York invernale, passa di casa in casa, si infila nelle scale di cemento che portano alla metropolitana, si manifesta in una leggera, impalpabile, onirica nebbia della casa della madre di Jude.
Fino a legarsi tra le mani delle persone, vere e uniche creatrici di un bambino, figlio assolutamente taciturno nel suo essere privo di colpe.
In Hungry hearts, il male è una scelta sbagliata, un imporsi di mancanza di certezze nel mondo degli adulti divenuti felicemente genitori, accerchiati dal senso di colpa, bloccati dalla forza di imporre la propria volontà sull’altro.
Costanzo costruisce un film girando soprattutto in interni – l’appartamento di Jude e Mina, quello della madre di lui – con la macchina da presa a mano e divide la creazione delle immagini in due emisferi.
Il primo è caratterizzato dalla “vicinanza“, l’amore tra i due giovani implode nei tanti primi piani dei volti.
La nascita del figlio comporta la nascita del secondo emisfero, fatto di immagini alterate, tondeggianti, esasperando in alcuni casi le proporzioni dei soggetti, in un movimento più nervoso della macchina da presa.
Da qui, si fa importante l’elemento “casa”, inizialmente vissuto come un nido che nega l’accesso del mondo esterno a difesa del figlio e successivamente mutato in un ambiente di chiusura emotiva, claustrofobico, fintamente protettivo, con scarsità di ossigeno.
A tratti, si vedono immagini in soggettiva, come a prendere il posto degli occhi del pargolo che osserva i genitori e le mura che lo circondano, stanco della vita stantìa del “nido” e bisognoso di luce solare.
Hungry hearts è un film dove un alone di mistero si avverte sin dalle sue prime battute.
Il rapporto tra madre e figlio si circonda di misterioso, come di qualcosa di “non detto” ma che Mina riesce a trasmettere comunque al figlio.
E’ come se tra loro ci fosse un dialogo muto, fatto di occhi e odori, che tende sempre più ad allontanare, e poi “insospettire”, il padre – un Adam Driver bravissimo.
Il magnetismo anoressico di Mina – una Alba Rohrwacher pelle e ossa – è un ulteriore canale attraverso il quale si riproduce la suspense.
Il mistero è la preparazione alla suspense, creata e sviluppata con maestria da Costanzo.
Il senso claustrofobico delle case comprime le emozioni dei protagonisti rendendo la narrazione al limite della saturazione dalla quale ci si aspetta un’esplosione.
L’esito tragico esplosivo, come già segnalato, è già scritto e ha il solo bisogno naturale di svilupparsi.
Hungry hearts è liberamente tratto dal libro Il bambino indaco di Marco Franzoso.
Le musiche sono di Nicola Piovani.