Su Re e un Gesù sardo
Su Re è una rivisitazione della passione di Cristo, tratta dai quattro vangeli.
Giovanni Columbu gira un film profondo e sconcertante, bellissimo e creatore di una costante inquietudine.
Egli si allontana – probabilmente avvicinatosi in un tempo prima, passato – dalla lezione di Pasolini e il suo La passione secondo Matteo, ben piazzato a livello politico negli anni della sua produzione.
Una certa parte di “realismo” viene digerita e riproposta con idee narrative nuove, Columbu rende il più possibile sua e solo sua la rappresentazione della passione.
Costruito in flashback, girato a Oliena e recitato in sardo, ha inizio dalla crocifissione.
La macchina da presa mai ferma, alcune volte ingannevolmente fissa fino ad avvertire sempre un leggero e silenzioso movimento.
Come a comunicare a chi guarda la angosciosa ma anche piena di odio e forte risentimento tensione che c’era durante quegli eventi.
Film cupo, nuvoloso.
Cupo come il nero delle tuniche dei personaggi.
Nuvoloso come sempre è il cielo sopra le colline.
Film ventoso, di quel vento di minaccia.
Film dove il vento che sposta nuvole scure è ancora di doppia genesi: che sia Gesù che sentendosi solo, abbandonato, smuove arie montane?
Che sia la risposta del cielo alle bestemmie nei suoi confronti da parte di vecchi decrepiti?
Chi sostiene di aver visto un intimo legame tra la messa in scena del film e Pieter Bruegel con “Salita al calvario“.
Molto probabilmente, Columbu si appoggia a un’idea inizale evocativamente artistica, tra cui -forse meno spiccata – la presenza anche di Hieronymus Bosch.
Columbu va di macchina da presa a spalla, predilige scene lunghe durante le quali possono essere percettibili i piccoli movimenti della macchina, segno di un ottimo uso della suspense e del silenzio dei volti, di una preoccupazione ansiosa.
Columbu pone Gesù in due “livelli”: le sequenze girate in soggettiva prendono i suoi occhi, come se si mettesse improbabile in scena la sua costante privazione del corpo, restando solo l’anima che osserva.
Le sequenze girate quando Gesù è tra la gente mostrano il suo volto povero, un volto da persona comune, una persona qualunque.
Con gli occhi strabici e una folta barba (interpretato da Fiorenzo Mattu)
Columbu mostra i carnefici di Cristo accomunati da tratti simili.
I sacerdoti, il popolo di donne che piangono e vecchi che fanno stridere il proprio rancore condividono espressioni, vestiario, dialetto, toni di voce.
Su Re viene ambientato nella poverissima e rocciosa montagna sarda con i suoi pendii, i cespugli di erba secca.
Un territorio impervio, i suoi abitanti si spostano a cavallo o aiutano il proprio cammino con bastoni di legno.
Un territorio finemente ostile come ostili sono gli anziani che accusano Gesù di essere un cialtrone, un falso profeta, urlando secche incriminazioni con l’ostile dialetto sardo.
Columbu procede a stacchi temporali contrapponendo le rocce della montagna e le minacce di temporali dal cielo con interni che sono grotte di pietre meno spigolose.
Un tentativo che vede Gesù e i suoi discepoli dare vita a un soffuso focolare che illumina basso il volto di un Cristo sempre più anonimo, titubante, incerto.
Columbu propone poche immagini di Gesù e il supplizio della crocifissione.
Lo vediamo all’inizio del film e altre poche volte dove il regista “torna” al presente.
Le parti “mancanti” della passione Columbu le costruisce di nuovo con la soggettiva, un vagare lento e malato della macchina da presa che diviene lo sguardo stesso di Gesù.
Inoltre, la soggettiva è così ben congegnata all’interno della vicenda che provoca la sensazione che, oltre a essere gli occhi dell’uomo in croce, possa rappresentare il “vedere” di chiunque.
Disponibile su programmazione streaming gratuita di RaiPlay