5 è il numero perfetto
5 è il numero perfetto è tratto dalla graphic novel dello stesso Igort, uscita nel 2002.
Il film ricalca in modo preciso e adeguato le strisce del romanzo a fumetti.
Tuttavia, Igort sembra essere nato con la cinepresa in mano.
Fotografato in modo eccezionale da Nicolaj Bruel, 5 è il numero perfetto è un noir potente, malinconico nei momenti giusti, con scene d’azione bellissime.
Una pioggia continua, sbuffi di fumo giallo, strette strade del centro di Napoli.
E’ il 1972 e Peppino lo Cicero è un guappo in pensione.
Un’ amore incondizionato per il figlio Nino che sta procedendo per le vie battute del padre.
Peppino è un uomo saggio, posato, con infinite storie da raccontare, la sua vita e una tazza di caffè.
Da sicario a uomo tranquillo e riflessivo.
Ma la parte ormai appesa dietro una maschera, impolverata del vecchio sicario ha da rianimarsi.
L’ omicidio a sangue freddo di Nino gli procura un tuffo al cuore nel vuoto ed è costretto a rituffarsi nel mondo della camorra e le sue famiglie assassine.
Inizia una guerra del tutto personale che Peppino affronta con l’aiuto di un suo vecchio compagno di sparatorie, Totò ‘O Macellaio.
Rimasto solo con gli affetti più intimi, morta la moglie e morto il figlio, la vendetta avviene tra sparatorie in strette scalinate di palazzi e cortili in pietra e movimenti di rivoltella che Peppino sfoggia, come ai vecchi tempi, quasi in simbiosi e spalla a spalla con Totò e una vecchia amante, Rita.
Con 5 è il numero perfetto, Igort si appropria del genere noir e lo battezza in questo periodo del cinema italiano.
La pioggia quasi incessante, i fumi lungo le strade, i vicoli bagnati, i cappotti fradici e le falde dei cappelli di poco abbassate.
5 è il numero perfetto richiama la graphic novel – che sta all’origine della pellicola – nello scandire i 5 capitoli che lo compongono, ognuno rappresentato da una sorta di siparietto surreale.
L’uso dello split screen e delle immagini “incasellate” in riquadri a mo’ di striscia da fumetto ricorda i film di genere italiani degli anni’70; le belle scene d’azione – che possono riportare alla mente il miglior Kitano – sono rese con efficacia fantastica soprattutto nelle movenze quasi all’unisono di Peppino e Totò, intrappolati tra infinite pallottole degli scagnozzi camorristi.
Igort dirige, forse, il noir migliore deli ultimi tempi, riconoscendo le “strutture” del genere e alternando momenti di ottima azione ad altri più introspettivi.
Peppino lo Cicero, alla luce delle conseguenze delle sue azioni, non è mai eroe; nella sua stanchezza da sicario durata una vita, è costretto dagli eventi a rimettersi in gioco.
Un nuovo battesimo di fuoco, un gioco troppo pericoloso.
La vendetta personale lo guiderà a scoprire parti di sé ancora da consolidare; la vendetta non mira a calmare il mondo, essa è un preciso e unico mezzo per calarsi nella parte del pericolo per l’ultima volta.
Nell’allontanarsi della tempesta, a Peppino resta una chance per cambiare vita, dicendo addio a Napoli.
Un uomo dall’esistenza oltraggiosa che ne regge ancora il peso ma che a guerra finita lo attende il mare del Sud America.
Una rinascita, forse.