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“Primo amore”, di Matteo Garrone

Matteo Garrone

Primo Amore (2004)

Matteo Garrone dirige un film cupo e inquietante, volutamente scarno,viscerale, che lascia senza speranza lo spettatore, come un pugno nello stomaco, inesorabile, implacabile.
Senza tecnicismi, in “Primo amore” si “limita” a riprendere quello che prova nel cuore e nel corpo; si limita a riprendere quello che ossessiona, nell’animo e nel corpo, i due protagonisti.

Liberamente tratto da “Il cacciatore di anoressiche”, di Marco Mariolini.

Vittorio di mestiere fa l’orafo.
Il resto della vita la trascorre in sedute da psichiatri per la sua ossessione sul peso.
Incontra Sonia per caso, da un annuncio per cuori solitari.
Si instaura quindi un rapporto tra i due, in partenza e in apparenza, normale e d’amore.
Decidono di vivere insieme in una casa di campagna, isolata.
Ma sarà sempre di più una discesa verso un incubo.
Sonia accetta di farsi manipolare da Vittorio fino ad arrivare a pesare poco più di quaranta chili.
Tutto procederà per atti estremi da parte di lui e risposte estreme da parte di lei.

Garrone vuole mostrare cosa c’è nella ricerca dell’estremo, che fasi tocca una ricerca di quando ci si spinge oltre il limite.
Cosa resta di sé stessi quando il peso è ridotto al minimo, quell’assenza di peso che sgancerà ogni rapporto con la realtà, con il mondo, con le cose felici della vita.
E lo fa attraverso Vittorio, sempre ossessionato dal peso a tal punto da voler prosciugare la sua vita – perderà lavoro, collaboratori e amici –
Per prosciugare la sua vita, Vittorio userà Sonia e il suo corpo, prosciugandolo fino alle ossa.
Nasconderà tutto il cibo che ha in casa affinchè lei perda sempre più peso.
La costringerà a vederlo mangiare mentre Sonia va avanti di insalate scondite e allucinazioni visive.

“Primo amore” un film bellissimo, che porta dentro di sé un’angoscia inesorabile.
Un film probabilmente mai visto nel panorama italiano degli ultimi anni.
Garrone è un maestro in sordina, un pugile agile di gambe e potente nell’attacco a volto e busto.
Sferra colpi impressionanti – i volti dei due protagonisti ripresi fuori fuoco, divenendo fantasmi, mentre tutto il resto che li circonda è perfettamente normale e colorato; la scheletrica Sonia, una bravissima Michela Cescon, in piedi, nuda e contro la parete della cantina di casa, terrorizzata dal senso di colpa dopo aver mangiato di nascosto e subito scoperta da Vittorio, che reagisce violentemente; i dialoghi sospesi e soprattutto il suono delle parole degli attori, quasi biascicato, strascicato e volutamente poco comprensibile.
Vitaliano Trevisan, che interpreta Vittorio, è inquietante tanto quanto il suo disturbo ossessivo.
E un epilogo sospeso e che si tinge, quasi e velocissimo, di horror.


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