"Il cane giallo della Mongolia" (2005)
Byambasuren Davaa
Nelle montagne della Mongolia, il tempo appare fermo.
La vita invece prosegue, ai ritmi del lavoro da pastori, per una famiglia, padre madre e tre figlioletti.
Al ritorno da scuola, la piccola Nansal trova un cane che battezza “Macchia”.
Il padre non è convinto, non lo accetta perché cresciuto in un branco di lupo per cui sarebbe un gravissimo pericolo per il gregge.
Un giorno, Nansal si allontana dalla casa-tenda per ritrovare il cucciolo smarrito.
Incontra così una anziana signora mongola che vive da sola nella radura e che le racconta la favola “la favola del cane giallo”.
Con il finire dell’estate, la famiglia ringrazia la terra con un canto per averli accolti e si prepara a spostarsi per trascorrere altrove l’inverno.


“Il cane giallo della Mongolia” è una storia intima, dolce e innocente raccontata – a tratti – come documentario.
In realtà, il documentario lascia spazio alla fiction e viceversa.
E quello che emerge è la descrizione della vita dei pastori mongoli, tra immagini sorprendenti, profondità di campo delle distese di verde asiatiche, primi piani dei bambini che giocano o fanno colazione con latte di capra appena munto.
Byambasuren Davaa, la cineasta di Ulan Bator, prende lo spettatore per gli occhi, i colori che emergono dai vestiti agli oggetti più piccoli della tenda-casa, alle coperte dei piccoli letti, sono intensi e comunicano un profondo legame pacifico tra gli uomini e la natura, un rispetto silenzioso per la vita.
Il viola del vestito della madre, il blu scuro dei figli, il verde di quello del padre e le note di arancione degli ornamenti della casa, sono ripresi in modo perfetto.
Da ricordare la scena in cui viene smontata la tenda-casa.
Ripresa dall’alto, man mano che viene tolto il rivestimento in pelle si intravede l’intreccio di piccole travi di legno arancione a comporre una raffinatissima raggera.
I colori fanno parte attiva nella vita dei pastori mongoli, sono anime visibili.

Con un lungo piano sequenza e con profondità di campo, il finale de “Il cane giallo della Mongolia” svela un dettaglio drammatico come a infrangere l’innocenza dei pastori.
Mentre la carovana si avvia verso migliori destinazioni, dalla parte opposta vediamo avvicinarsi un’auto che pronuncia al megafono i problemi politici della società mongola, insediati sempre di più nelle città.
Annunciando uno sgretolamento della vita nomade sempre più costretta a un’urbanizzazione senza colori né sapori.