brevi recensioni - cinema

Ida (2013) di Pawel Pawlikowski

"Ida" e gli specchi scambievoli

Ida è un piccolo quadro raffinatissimo.
Girato in bianco e nero, un racconto di rara malinconia, un bianco e nero malinconico.
E’ la storia di due vite che si muovono in parallelo, forse all’opposto ma che vengono a toccarsi per l’intima e silenziosa necessità di ricerca sia delle loro radici sia della direzione del loro futuro.
Si svolge nel 1962 e il film è un road movie che si snoda nelle strade grigie delle piccole città polacche.

La storia si sviluppa intorno alle due protagoniste, Ida e Wanda.
La prima, orfana ed ebrea, sta prendendo i voti e scopre che Wanda è sua zia.
Incontrandosi per la prima volta, Ida decide di andare ad omaggiare la tomba della sua famiglia, rimasta uccisa durante la guerra.

Per Ida e Wanda ha inizio una ricerca del perchè del proprio presente e sull’incertezza che si tocca con mano del proprio futuro.
Inoltre, una risposta al come si è andato a nascondere il proprio passato, determinandosi in un prolungamento senza nome e costituendo il presente di entrambe le donne.

"Specchi scambievoli"

Nel momento in cui Ida fa ingresso nella esistenza di Wanda, si viene a creare uno “specchio”.
Wanda si riflette in una immagine nuova.
Ida, candida e silenziosa, trasmette candore nella vita di Wanda, donandole forse uno spiraglio di speranza per una prossima felicità.
Tuttavia, Wanda ha il proprio passato legato – e fedele – al regime comunista.
Una donna che ha vissuto per il Partito, proprietaria di una vita di solitudine, di piaceri materiali e “incompleti” come l’alcol e gli uomini conosciuti per caso, in una relazione notturna per caso.
Anche per Ida succede la stessa cosa.
Il loro incontro diviene uno “specchio” per lei, gettando una base per il suo presente.
Wanda quindi le offre indirettamente una forma di opportunità verso la scoperta di tratti di vita da sempre nascosti sotto le vesti religiose e, in silenzio religioso, in qualche modo da sempre ricercati.
Due specchi a vicenda, scambievoli, offerti reciprocamente per offrire l’immagine riflessa dell’altra.

Ida aiuta Wanda a specchiarsi e fare un bilancio dei propri anni vissuti.
Una crudele verità che vorrebbe essere più una “ricerca di silenzio”.
Un silenzio che la donna fatica a trovare, sulla base compromessa del suo passato.
Wanda spinge con tatto Ida ad assaporare quello che potrebbe essere un nuovo progetto dopo il tempo trascorso in convento.
Sarà comunque posta di fronte una scelta, se allontanare il suo vicino passato o farvi ritorno.

Wanda è un vettore attraverso il quale nasce la spinta di ricerca delle radici di Ida.
Oltre ad essere quindi una spinta “all’indietro”, si manifesta anche come una forza per scoprire nuovi palcoscenici.
Da qui, l’incontro con la musica – nel personaggio di Lis, sassofonista amante di John Coltrane.
La musica rappresenta uno fra i vari palcoscenici, un linguaggio nuovo da scoprire che ben si aggancia a una vita nuova e che stride verso i canti liturgici del convento.

Pawel Pawlikowski firma un piccolo, breve gioiello.
Sicuramente, il suo capolavoro.
I temi, in Ida, della ricerca personale, dei propri tratti folkloristici, del tentativo da parte della guerra di isolare gli individui, la musica che si infila tra gli interstizi delle buone e nuove emozioni, sono tutti temi propri di Pawlikowski e che esplorerà anche nell’opera successiva “Cold War”.
Restando ai margini del discorso che affronta la guerra e il nazismo, è un racconto di formazione che si concentra su un presente vicino ad essa, personificato dalle due donne.
Il bianco e nero è uno strato impermeabile che avvolge l’animo intimo e candido di Ida, l’animo sofferto di Wanda.
Ogni immagine del film è una meraviglia, una cura perfetta per tutte le immagini.

La narrazione del film è limpida, semplice, circolare, come dimostra la scelta finale della protagonista.
Il road movie resta uno speciale vantaggio per raccontare cosa si muove nell’intimo delle due protagoniste, passo dopo passo, avvicinamento dopo avvicinamento verso la famiglia scomparsa.
Fantastico e crepuscolare l’innesto breve e intenso dell’uso della musica nella figura di Lis e il suo quartetto jazz che intona Naima a fine concerto.

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