brevi recensioni - cinema

Lucky, di John Carroll Lynch

Lucky è un novantenne che vive nell’entroterra degli Stati Uniti.
Personaggio pieno di solitudine e convinzioni atee sull’esistenza umana.
Vive i dettagli dell’ultimo tempo della sua vita facendo esercizi yoga ogni mattina, con la radio accesa, si rade davanti allo specchio ed esce di casa.
Si reca al bar di un amico con le sue immancabili pagine di quiz e cruciverba.
Fuma, beve e discute con gli amici di sempre.
Lucky sembra avvicinarsi sempre di più alla morte pur ricacciandola sempre, forse anche all’ultimo momento.

S’intravede, se stesso, ancora appartenente al mondo ricordandosi della speciale ricchezza delle piccole cose.
Una su tutte, il sorriso.
Film sottile, tenue, dove a primeggiare è il grande – e scheletrico – Harry Dean Stanton.
Paesaggi di un sole né splendente né pallido, interni di un bel colore notturno denso.
A tratti potrebbe far venire in mente David Lynch – che appare come amico di Lucky, triste di aver perso la sua testuggine compagna di vita – , soprattutto nei brevi momenti di silenzio e sguardi durante le serate nel pub con gli amici

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