
Informazioni Generali
Titolo originale: La tortue rouge
Paese di produzione: Francia, Belgio, Giappone
Anno: 2016
Durata: 80 min
Regia: Michaël Dudok de Wit
Produttore: Rémi Burah, Olivier Père, Isao Takahata Casa di produzione: Arte France Cinéma, Prima Linea Productions, Studio Ghibli, Why Not Productions, Wild Bunch
Musiche: Laurent Perez Del Mar
Storyboard: Michaël Dudok de Wit, Pascale Ferran
La Tartaruga rossa è un film d’animazione che sfiora il prodigioso.
Potrebbe essere una poesia di Quasimodo.
Semplice, minimale, quasi miracoloso.
Come il trascorrere delle stagioni.
Come lo scoperchiarsi del Sole, l’apparire romantico della Luna, la pioggia che cade con voce simile a infinite bestie misteriose, invisibili, in corsa.
E’ solo la pioggia, la parola del cielo nuvolato.
De Wit racconta la vita di un uomo, naufrago, che si ritrova su un’isola deserta, in mezzo all’oceano.
Tenta di andarsene costruendo zattere di legno robusto ma le sue intenzioni vengono infrante da una tartaruga marina rossa.
Costretto sull’isola, l’uomo si abbandona al tempo della sua esistenza

Con La tartaruga rossa, de Wit compie una descrizione dell’esistenza pura dell’uomo, una purissima riflessione sull’esistenza e il suo interno, lo spazio più profondo così intimo, misterioso.
Così semplice, dei primordi.
Il film ha qualcosa di intensamente ermetico, qualcosa che “dice e non dice”, che parla e non parla.
Forse, una magia.
Il regista si mette la mano sul cuore ed esprime, con i suoi personaggi e paesaggi cullati sommessamente, il suo inno alla grazia e preziosità della Natura.
Un inno alla libertà marina, alla socializzazione con l’acqua e i suoi abitanti più saggi, le tartarughe.
I suoi personaggi – l’uomo, la donna, il figlio – nuotano come pesci, si appisolano all’ombra della foresta, si addormentano sulla sabbia controllati dagli occhi delle costellazioni.
Il regista fa scorrere la notte e il giorno.
La notte si colora di un grigio quasi fuliggine, fondendo sabbia e cielo, stelle, granchi e conchiglie.
Il giorno diventa giallo denso e abbronza la pelle dell’uomo naufrago, fa apparire le ombre proiettate sul fondo marino.
Non emettono nessuna parola ma rumori naturali e primordiali – respiri, affanni, urla di angoscia.
E il suono più intenso, quello che effettivamente ascoltiamo è quello degli alberi, del vento, dell’acqua, degli insetti notturni e quelli del mattino e del pomeriggio.
Ancora, il respiro flebile dell’onda bassa sulla riva, il boato angoscioso dell’onda di porto che tutto devasta – straordinaria la scena dello tsunami, con i personaggi che non capiscono il ritirarsi estremo del mare e lo strillare forte degli uccelli.
Ne La Tartaruga rossa tutto è primordiale, qualcosa che ancora deve svilupparsi, formarsi.
Non ci sono case, strade, fabbriche, grattacieli, palestre per muscolosi.
Soprattutto, non c’è nessun bisogno di tutto ciò.
C’è l’esistenza dell’uomo prima – o dopo – tutto ciò.
E l’esistenza ha il linguaggio delle emozioni, prima, e dei sentimenti dopo.
Notiamo quindi rabbia nel piccolo naufrago, poi noia, poi tristezza.
Per poi avere un’evoluzione verso la fiducia in se stesso, oppure frustrazione, e poi amore, intimità, gioia, disperazione.

La Tartaruga rossa ha il potere semplice di caricarci di significati dell’esistenza.
Ci parla di essa e come scorre via.
Di come essa abbia bisogno dei sogni per respirare – il naufrago, in una bellissima scena notturna, corre sopra una palafitta sognando finalmente di scappare dall’isola; altra scena bellissima – e importantissima!, dove il figlio, ormai cresciuto, decide di seguire i suoi sogni e dichiara venuto il momento di lasciare i genitori e creare la propria vita.
Infine, ci si pone la domanda “Allora è stato tutto un sogno?”
Non c’è bisogno di rispondere.
Nemmeno Michael Dudok de Wit lo fa.