brevi recensioni - cinema,  Horror

Occhi senza volto (1960), Georges Franju

Titolo originale: Les Yeux sans visage
Anno: 1960
Regia: Georges Franju
Interpreti:
Pierre Brasseur: dottor Génessier
Alida Valli: Louise
Béatrice Altariba: Paulette
Édith Scob: Christiane Génessier
Fotografia: Eugen Schüfftan
Musiche: Maurice Jarre

 

Occhi senza volto si apre con immagini in movimento di alberi e rami sporgenti.
Immersi nella notte, rivelano da subito l’anima inquietante del film.

Louise ferma la sua 2CV vicino alla Senna.
Quello che sembra un manichino vestito con Borsalino e impermeabile seduto nel retro dell’auto è in realtà un cadavere che la donna getta nel fiume.
Il dottor Genessier è un chirurgo di grande fama.
Specialista in trapianti di tessuti organici da un corpo umano a un altro, la sua vita è frantumata dalle condizioni della figlia rimasta sfigurata in un incidente d’auto.
Christiane Genessier porta una maschera, rinchiusa nella villa del padre.

Occhi senza volto è un racconto horror di grande tensione.
Capolavoro di genere, diretto da Georges Franju che è rappresentante speciale della Nouvelle vague francese, si sviluppa cercando di sottrarre i particolari gotici del genere – tranne poche brevi scene nella cripta della tomba della figlia e un cimitero di notte – e resta ambientato nella quotidianità.
Franju va a fondo nella sua interpretazione del film horror con scene davvero cruente.
In questo caso, la sequenza dell’operazione chirurgica per “sostituire” il volto della figlia si rivela molto violenta in una asticella della tensione molto alta, con il sudore della fronte del dottore, le richieste all’assistente di diversi oggetti chirurgici, l’asportazione del tessuto facciale, i silenzio netto dell’ambiente.
Ancora, il momento in cui Christiane si mostra senza maschera: Franju fa del volto scarnificato un primo piano pauroso e fuori fuoco mentre gli occhi sembrano brillare.

Occhi senza volto intreccia anche momenti polizieschi con i personaggi dell’ispettore e del suo assistente che indagano su sparizioni di giovani ragazze dagli occhi bellissimi e rari.
Tuttavia, la giustizia cade in un vicolo cieco e non capirà mai i veri motivi per cui sta indagando.
Altri momenti del film aprono a una riflessione sul dolore della vita, ridotta a solo occhio e deturpata della bellezza liscia e candida che può avere un volto.
I sensi si intrecciano, vista e udito sono in parallelo per la sfregiata Christiane.
Lei ascolta i guaiti dei cani messi in gabbia dal sadico padre medico in una cantina segreta.
Soprattutto, lei vede: l’occhio deve assumersi l’incarico di vedere e sentire insieme.
Per Franju, l’occhio non è tanto lo specchio dell’anima quanto più un “oggetto” preciso che resta in stretto contatto con quello che ha di fronte.

In un bianco e nero dai forti contrasti, Franju fa decadere l’uomo-dio, quell’ambasciatore che porta il messaggio della scienza.
Quella scienza e i suoi sacerdoti che si pongono come generatori di coscienze, produttori macabri di “persone nuove” e del loro nuovo io.
Le gesta sadiche dell’uomo-dio falliscono.
Per questo, Franju crea quella impressionante, cruda e paurosa sequenza del rigetto della pelle innestata nella ragazza.
I tratti della persona sono unici e invalicabili.

Occhi senza volto è un capolavoro, da vedere e rivedere.
I personaggi hanno profondità, nelle loro esistenze difficili, precarie.
Le musiche di Maurice Jarre sono bellissime.
Bellissimo il motivo che ritorna soprattutto ad assecondare i movimenti tristi di Christiane mascherata che sembra un manichino.
Con un finale ancora più violento – i cani si ribellano al tiranno dottor Genessier massacranndolo – e allo stesso tempo surreale che vede Christiane allontanarsi dalla villa con una colomba appesa tra le dita.
E la sua immancabile maschera a celarle ancora il volto sfigurato, una sorta di manichino vivente che concentra le sua passioni proprio negli occhi, rimasti integri e colorati.

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