Voto 9
Halley, un horror atipico.
Un body-horror, d’autore tenace.
Un racconto autentico esistenziale, granitico.
Beto è un guardiano notturno di una palestra.
Trascina il suo corpo dentro una routine afona, lucido e consapevole del suo deperimento.
Luly, la proprietaria della palestra, prova a creargli un brevissimo episodio di divertimento e spensieratezza.
Dopo un soggiorno di Beto all’obitorio.

Sebastian Hoffmann propone un lancinante racconto sulla solitudine e la malattia.
Dentro una luce grigia, di cenere, a volte abbagliante.
Fa muovere il personaggio di Beto in un segmento sottile e fuligginoso, quello del non-vivo, andando “oltre” al non-morto di Romero.
Uno zombi, quindi?
Sicuramente sì. Ma anche oltre lo zombi.
L’ossigeno che Beto si procura proviene esclusivamente dalla sua anima che è ancora razionale, consapevole, in qualche modo viva.
L’asfissia è per il corpo, già morto, andato oltre – Luly si avvicina a lui, nella serata in un locale, e gli annuncia “Odori di vecchio”.
E’ andato oltre anche quel controllo che si tenta di avere con la mente verso il corpo.
Beto è un oggetto che brilla velocemente.
Una cometa periodica che passa e può essere vista in un arco di tempo di circa duecento anni.
Le altre comete hanno tempi estremamente più lunghi, descritti dal loro periodo orbitale.
Halley è un film sulla velocità della vita che passa, brilla, svanisce.
La vita come un oggetto transnettuniano.
Beto è un oggetto transnettuniano.

Sebastian Hoffmann dirige un film inesorabile e che non lascia nessuna fessura infinitesimale aperta, nessuna disponibilità di respirare.
Si muove all’interno del trascorrere di alcune giornate di Beto.
Nonostante questo, Hoffmann riesce a creare un ritmo perfetto, fintamente lento; un racconto ricco di tensione che resta in sottofondo.
La sequenza della masturbazione è qualcosa di decisivo, non c’è spazio nemmeno per quelle azioni di base e primordiali proprie dell’erotismo.
Così Hofmann spazza via anche una categoria di “speranza razionale” prevista dalla psicanalisi.
Devastante come quegli incubi che rincorriamo e che attirano, come api al miele.
Da vedere, fintamente evitandolo.