Il club
Padre Vidal, Padre Ramirez, Padre Silva, Padre Ortega.
Sono i sacerdoti che sono stati allontanati dalle loro funzioni ufficiali dopo aver commesso atti nefandi.
La casa dove alloggiano per espiare le loro gravissime colpe è vicino al mare, lontana dalla città.
Una casa di ritiro, di pentimento.
Di loro si prende “cura” Monica, ex monaca, ora sorvegliante, anche lei dal passato poco chiaro.
Vivono di piccoli lavori autorganizzati, di pasti nelle ore stabilite, di alcol, accudiscono un levriero che porta loro introiti di denaro dopo averlo fatto gareggiare alle corse dei cani.
L’arrivo di un quinto prete dà inizio alla destabilizzazione.
Padre Matias, infatti, appena arrivato attira l’attenzione di un uomo lungo la strada. Si tratta di Sandokan, un ragazzo che si capisce avere subito, da bambino, violenze e aberrazioni proprio da Matias.
La situazione degenera in modo drastico, fino al suicidio di padre Matias e all’arrivo di un nuovo uomo di chiesa, incaricato di far luce sui fatti presenti e passati degli ex sacerdoti.
Il Club è un film estremo e livido, non ha mezzi termini, un pugno vero nelle pance.
Si distacca dalle opere precedenti.
Il turbamento e la violenza vengono dosate da Larraìn a suo piacimento, sempre distaccato, dietro i personaggi, per riprendere esattamente le loro azioni.
Il regista scardina la Chiesa e le sue violazioni senza far rumore.
Come la voce di Sandokan, che urla le oscenità più abiette e ignobili subite dai preti da bambino lungo la strada e verso la casa per farsi sentire da tutti ma che Larraìn ci fa provenire da fuori la casa.
L’attacco è sì alla Chiesa ma anche alla Chiesa che indaga sulla Chiesa.
Come posso, io pedofilo o trafficante di armi, indagare sui pedofili e trafficanti d’armi?
Impossibile dare una risposta chiara, in Club Pablo Larraìn crea cinque personaggi volti solo a giustificare se stessi, per un passato che è impossibile cancellare.

L’esplosione di rabbia attraverso la scena agghiacciante della uccisione degli animali appare come un sacrificio atto a portare ancora più male nel mondo, per espiare l’inespiabile.
La figura di Sandokan è quella che regge il gioco contro le azioni nefande della Chiesa, un Cristo alcolista e barbone massacrato dai preti stessi, nel presente e nel passato.
Sandokan è la persona che urla in faccia ai preti muti i loro peccati per mezzo di un turpiloquio che quasi si sostiuisce alla preghiera – le oscenità che Sandokan accusa di aver subito dai sacerdoti sono il tratto sottile dell’estremismo del film, scandalose quanto reali e impunite.
Larraìn alterna riprese di interni grigi anonimi a immagini di più ampio respiro per l’esterno.
E soprattutto primi piani, come fosse la macchina da presa fosse il mezzo con cui si accusa – ma si ascolta, anche – i preti dal passato abietto.
E “declassa” intelligentemente la Chiesa e i suoi luoghi non più di culto ma di semplici luoghi di intrattenimento, il club, dove gli appartenenti sono tutti simili.
Magari completamente estranei al mondo fuori, vero.
