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Il prigioniero coreano (2016) di Kim Ki-duk

Kim Ki-duk e una "Corea-Madre malata"

Molto consigliato
3.5/5

Nella sua semplice narrazione e messa in scena, Il prigioniero coreano si propone di parlare della Corea, penisola dell’Asia orientale ormai cicatrizzata con dolore dalla divisione in Nord e Sud.
Kim Ki- duk scrive e dirige un dramma di impatto fortemente emotivo, mettendosi dalla parte dei poveri e dei perdenti.
Riflette sullo schermo le ambizioni di due Stati paralizzati e paralizzanti ma che in un modo o nell’altro coincidono, si sovrappongono negli stessi punti, combaciano per la loro forma comune di tortura e caos, di integrità morale, ideologica e politica di cui si vedono solo i cadaveri.

Nam Chul-woo è un pescatore della Corea del Nord.
Ogni mattina lavora proprio nella zona limite che divide il Nord dal Sud.
Questa linea invisibile è creata da alcune boe rosse che galleggiano sole, di fronte una baracca che si presta da posto di blocco e controllo militare.
Succede che il motore della barca si guasta e la corrente d’acqua trascina nam Chul-woo oltre la linea, sconfinando quindi nella Corea del Sud.

Inizieranno vicende che faranno aprire – o chiudere – gli occhi al pescatore.

Il prigioniero coreano è una storia drammatica per l’esito della riflessione.
Kim Ki-duk non si schiera né dalla parte della “Dittatura” (Nord) né dalla parte della “violenza ideologica” (Sud).

Perchè l’odio prevale in tutto, sia nei funzionari di Stato sia nello Stato stesso.
Una Corea che si odia, che odia se stessa.
Diventa quindi la “Madre malata” di tutti, quella più durevole nel tempo ma non la più saggia, quella assolutamente non in grado di riformare e riunire le proprie forme e forze.
La Corea è una realtà che delira all’interno della sua mente e dispiega violenza verso chi ha di fronte.
Dispiega odio verso chi può essere suo figlio, come il povero pescatore Nam Chul-woo.

Ne Il prigioniero coreano Kim non si affida all’ingenuità di vedere un paese sconfitto delle sue spazzature; non lo sogna migliore nel passato e vivido nel futuro.

In un destino segnato, lento e forse impercettibile come la linea immaginaria sull’acqua formata dalle boe rosse.
Le difficoltà, paure e angosce della Corea-Madre sono come l’acqua, inarrestabili e indeformabili.
Il presente di una Nazione immersa nell’acqua, quell’acqua che ha già tradito il pescatore portandolo dalla parte Nord a quella Sud, con la sua infinita corrente marina.

Film asciutto, scarno dei momenti misteriosi e simbolici del Kim “che si conosce”.
Una storia dura e duramente triste, viaggia inesorabile come una linea retta fastidiosa, anomala da essere piena di insidie.

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